Manzoni
sembra aver collegato alla lezione dei grandi moralisti francesi del
Seicento (Bossuet, Bourdalone) quella di scrittori satirici come La
Rochefoucauld e addirittura Voltaire. L’accoppiamento, del resto,
risponde alla cultura e formazione spirituale del Manzoni,
enciclopedista e illuminista dapprima, e di poi cattolico non senza
tracce di giansenismo: sicché in un certo senso può dirsi
che egli raccolse nel suo singolare temperamento quella doppia
eredità storica. La quale ritrovava una comune base nella
polemica morale in nome della ragione o della religione razionalizzata,
e si svolgeva logicamente come da unica radice, perché il
moralismo, ponendo un ideale, pone insieme le immagini di quelli che lo
incarnano, di quelli che lo contrastano, di quelli che vorrebbero
incarnarlo e non riescono, o non l’incarnano ma si danno l’aria di
farlo con fazioni verso altrui e sofismi verso se stessi, e così
via per infiniti casi e gradazioni; e perciò da una parte i
paradigmi del nobile e del turpe e dall’altra quelli del comico’’.
Questa attitudine di moralista e ironista si esercita implacabile sul
personaggio di Azzeccagarbugli, rappresentante della cultura e del ceto
intellettuale del Seicento, severamente giudicati dallo scrittore anche
in altri luoghi del romanzo. Così, per esempio, il Russo
sottolinea, a proposito dell’obiezione mossa dall’avvocato a padre
Cristoforo, circa la questione cavalleresca che infiamma i convitati di
don Rodrigo (cap. V), che "la risposta del dottore rivela il vile e il
leguleio: vile per quel dare addosso alla sentenza del frate per un
ossequio all’opinione dei più forti. Rivela poi la doppiezza del
leguleio con quella sua distinzione ipocrita, una di quelle distinzioni
venute di moda proprio nel Seicento, con la casistica gesuitica: altro
è il dire e altro è il fare; altra la teoria, altra la
pratica; altro il dover essere, altro l’essere; una cosa la
verità detta dal pulpito, un’altra la verità spicciola
per l’uso quotidiano. All’avvocato potremmo paradossalmente riferire le
caratteristiche negative di tutta un’epoca, secondo quanto scrive il
Manzoni nella lettera al Fauriel dell’agosto ’23 (vd. pp. 107-108):
"tutto ciò che può far fare agli uomini una meschina
figura [nel Fermo e Lucia] c’è in abbondanza; la saccenteria
nell’ignoranza, la presunzione nella stolidità, la
sfacciataggine nella corruzione". Di seguito un ritratto del "dottore"
di Giovanni Getto (n. 1913), uno dei più raffinati lettori del
Manzoni dei nostri giorni, autore,fra l’altro, delle Letture manzoniane
(1964), - donde sono tratte le pagine che seguono - e di Manzoni
europeo (1971).
La
biblica saggezza che esorta a moderare la parola è sconosciuta a
Renzo, sia che egli imprechi contro don Rodrigo, sia che esprima la sua
fiducia in Azzecca-garbugli o nella legge (pipare che abbian fatta la
grida apposta per meri). Ma di fronte a quella saggezza non solo Renzo
ma tutti i personaggi, eccetto Lucia, si rivelano peccatori. Più
di tutti pecca contro la parola il dottor Azzecca-garbugli. Agnese
(peccatrice anche lei per quella sua incapacità di tacere)
esalta il dottore proprio per la sua bravura nel saper trovare "una
parolina", e dire "su due piedi" cose che agli ignoranti non verrebbero
mai in mente, nemmeno a pensarci un anno. E intanto ci abbozza in
anticipo un ritratto fisico ("quel dottore alto, asciutto, pelato, col
naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia") che è il
più minuzioso di quanti finora Manzoni ci abbia dato [cap. III].
Ma il ritratto, con le sue accentuate note fisiche, distrugge
involontariamente l’idealizzazione delle qualità morali di
quella "cima d’uomini Tutta quella altezza d’intelligenza par
risolversi con involontaria ironia in un fatto fisico, in una misura
somatica, insomma in quell’alta statura allampanata, in quella testa
pelata, in quelle stigmate non certo lasciate dalle veglie e dai
pensieri contemplativi, ma dalle abitudini di una golosità
personale ed ancestrale. Anche sullo studio del dottore si posa attento
lo sguardo di Manzoni, che, per la prima volta nel romanzo ci lascia la
compiuta descrizione di un interno. Esso non esclude una certa
suggestione di stile barocco, sia per quei ritratti dei "dodici Cesari"
(non si dimentichi che Tacito - ma per il nostro dottore si direbbe che
basti Svetonio - e non più Livio, è lo storico prediletto
in questa età delle grandi monarchie) sia per quel "seggiolone a
braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da
due ornamenti di legno, che s’alzavano a foggia di corna". Ma proprio
questo seggiolone, dalle grosse borchie in parte "cadute da gran tempo"
e dalla copertura di vacchetta lasciata in libertà agli angoli e
qua e là accartocciata, diffonde nell’ambiente un senso di
disordine e di decadenza. È la stessa impressione lasciata da
quel "grande scaffale di libri vecchi e polverosi" (come, del resto,
dalla toga "ormai consunta" indossata a guisa di veste da camera dal
dottore). Altri libri compariranno più avanti nel romanzo, fra
le mani di don Abbondio, del sarto, di don Ferrante. E tutti saranno
più o meno pretesto dell’ironia di Manzoni. Ma qui i libri
rimangono chiusi sotto la loro polvere, puro oggetto di arredamento.
Non i libri ma le gride servono al nostro dottore, e non già
tutte le "cento gride" che contemplano questo o quel caso, ma solo
quelle "fresche", che "son quelle che fanno più paura". In qual
conto si debbano tenere le gride sa già il lettore fin dal primo
capitolo. Per questo un senso di ironia amara, quasi di disperazione,
sembra diffuso su quell’atteggiamento di Renzo: "Mentre il dottore
leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con l’occhio, cercando di
cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole,
che gli parevano dover essere il suo aiuto". Anche le gride peccano
contro la parola, moltiplicando parole solenni, destinate tuttavia a
restare lettera morta. E Renzo, con la sua fiducia in "quelle
sacrosante parole", come prima con la sua timidezza per la propria
parola ("noi altri poveri non sappiamo parlar bene") e la speranza di
dire al dottore "una parola in confidenza" e di ascoltarne, giusta la
promessa di Agnese, "una parolina", appare come la vera vittima del
dottor Azzecca-garbugli. Il dottore non ricorre alla grida per aiutare,
ma per spaventare, dando luogo, nel caso di Renzo, ad un grosso
malinteso, il quale deriva nella fattispecie non solo da un’inveterata
abitudine professionale, che forse non ha sofferto fino a quel giorno
eccezioni, quella cioè di salvare delinquenti, ma anche
dall’impazienza (essa pure, si direbbe, abituale) nell’ascoltare, dal
poco rispetto per la parola degli altri, o almeno per quella della
povera gente ("Benedetta gente! siete tutti così"): per una
incapacità di dialogo insomma. Il dottore che in fretta conclude
"Ho capito", in realtà (come si compiace di far notare Manzoni)
non ha capito nulla. La fretta nel concludere non gli impedisce
però di sfoderare tutta la sua eloquenza. Anche nel dottore non
mancano i gesti ("E subito si fece serio, ma d’una serietà mista
di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone
uscire un suono inarticolato"; "cacciò le mani in quel caos di
carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno
staio"; "E, tenendo la grida sciorinata in aria...") che culminano e si
concludono in quella brusca interruzione fatta dal dottore al nome di
don Rodrigo, "aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e
storcendo la boccali, e in quel congedo che è tutto
un’agitazione di mani: prima, a commento della frase "me ne lavo le
mani", stropicciandole "come se le lavasse davvero", e poi adoperandole
per spingere Renzo verso l’uscio. Ma dominano in Azzecca-garbugli
soprattutto le parole. Esse sono dirette ad un duplice scopo: in un
primo tempo spaventare, in un secondo indicare il rimedio. A spaventare
giova la lettura della grida, con le relative omissioni e
sottolineature e chiose e interiezioni. A confrontare è dedicato
invece un lungo discorso, in cui sono scoperte tutte le armi
dell’avvocato, e dove tutto si risolve ancora in parole (a parte
naturalmente "un po’ di spesa" e fatta eccezione dell’offesa a "persona
di riguardo"). Tutto il discorso è tramato di verba dicendi:
"Chi dice le bugie al dottore [...] è uno sciocco che
dirà la verità al giudice"; "All’avvocato bisogna
raccontar le cose chiare"; "bisogna dirmi tutto, dall’a fino alla
zeta"; "Dovete nominarmi [...], "Non gli dirò [...] Gli
dirò"; "dovete dirmi chi sia l’offeso, come si dice"; "ivi
dico", "Io vi parlo"; "vi sarà suggerito" (e all’opposto "se ne
starà zitto"). Ma come mancano al loro scopo le parole della
lettura e commento della grida, così mancano al loro scopo anche
queste parole, che servono dunque soltanto a svelare le arti disoneste
del dottore, il suo ciarlatanesco giuocare con le parole per attirare
credito su di se. Il pensiero di Manzoni, tradotto implicitamente nel
contegno di Renzo, mette bene in rilievo questo carattere del dottore,
questa sua colpevole e vanitosa, e alla fine neppure più abile,
fiducia nelle parole: "Mentre il dottore mandava fuori tutte queste
parole, Renzo lo stava guardando con un’attenzione estatica, come un
materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti, che,
dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro
e nastro e nastro, che non finisce mai". E quando Renzo, accortosi
dell’equivoco preso dal dottore, avrà troncato quel nastro in
bocca proclamandosi vittima e non colpevole, Azzecca-garbugli non
troverà altro da dire se non accusare Renzo di non aver saputo
parlare, finché, udito il fatto e vistolO, di fronte al nome di
don Rodrigo ("Quel prepotente di don Rodrigo..."), cadere sotto quel
caso-eccezione da lui prima segnalato ("Purché non abbiate
offeso persona di riguardo"), proclamerà insensate le parole di
Renzo, e non vorrà più ascoltarlo: "Fate di questi
discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite
a farli con un galantuomo che sa quanto valgono... non sapete quel che
vi dite... non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in
aria... Imparate a parlare". Ancora una volta le parole e i discorsi,
il parlare e il dire, costituiscono le realtà su cui si appoggia
il contegno del dottor Azzecca-garbugli.
Una
giuria consiste di 12 persone scelte per decidere chi ha l'avvocato
migliore.
Robert Frost
Il cuoco copre i propri errori
con la maionese, l'avvocato con le parole, il medico con la terra...
Le donne,
quando non amano, hanno tutto il sangue freddo di un vecchio
avvocato.<br>
Honoré de Balzac
L'avvocato
è un uomo che salva i vostri beni dai vostri nemici, tenendoseli per sé.
Il bene
non ha bisogno di un avvocato.
Focione
Non
esiste modo migliore di esercitare l'immaginazione che lo studio della
legge.
Nessun poeta mai interpreterà la natura così liberamente come un
avvocato la verità.
Jean Giraudoux
Il
clichè organizza la vita, espropria l'identità delle persone, diventa
governante, avvocato
della difesa, giudice e legge.
Vaclav Havel
Se un
dentista o un avvocato vi consegnano una parcella troppo salata, mi
raccomando, fatevi lo sconto.
E' tassativo. E' un imperativo categorico, e poi è economico,
morale e pure divertente.
Un
avvocato che difende un criminale accetta il dovere giuridico e morale
di servirlo con lealtà, obbedienza e riservatezza, come prescrive
appunto la legge della rappresentanza.
Carl William Brown
Avvocato:
specialista nel rasentare il codice. Ambrose
Bierce. Dizionario del Diavolo
Non è vero che tutti gli avvocati sono
meschini, per esempio un giorno conobbi un eremita tibetano e mi disse che prima faceva
l'avvocato.
Carl William Brown
Più soldi vi ruba un ladro e più è criminale;
più soldi vi ruba un medico o un avvocato e più è bravo e stimato. William Brown
La
diversità tra il lavoro di un criminale e quello di un avvocato è che
quest'ultimo è istituzionalizzato.
La giustizia o l'ingiustizia della causa che accetta
di perorare non riguardano l'avvocato, a meno che il suo cliente non
gli chieda la sua opinione al riguardo, nel qual caso egli è obbligato
a darla onestamente.
La giustizia o l'ingiustizia della causa devono essere decise dal
giudice.
Samuel Johnson
Deontologia
professionale (?): Imputato
- "Parlero' solo in presenza del mio avvocato" Avvocato
- "Parlero' solo in presenza del mio onorario"
-
Avvocato, e' vero che per tre domande lei chiede 1000 Euro?
- Si, e' vero, mi faccia pure le altre due.
In Italia di legale per tutti c'e' solo
l'ora. Ed anche quella, non per tutto l'anno.
S. Panarello
"Dire la verita' e' sempre la politica
migliore, a meno che ovviamente tu non sia un ottimo bugiardo".
Jerome K. Jerome
La giustizia militare sta alla
giustizia come la musica militare sta alla musica
Groucho Marx
Beati coloro che hanno sete e fame di
giustizia perchi saranno giustiziati.
Angelo Cecchelin
L'ingiustizia si può anche sopportare.
E' essere colpiti dalla giustizia che brucia.
La legge e' uguale per tutti. Basta
essere raccomandati.
Marcello Marchesi
Attaccante colpisce il palo e viene
denunciato.
In Italia quando una cosa non è più
proibita, diventa obbligatoria.
Legge di Nenni
Meno le persone sanno di come vengono
fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte.
Otto von Bismarck
Mi sono sposato davanti a un giudice.
Avrei dovuto chiedere una giuria.
Groucho Marx
Piove sul giusto e piove anche
sull'ingiusto: ma sul
giusto piove di piu', perche' l'ingiusto gli ruba l'ombrello.
in questa città sei innocente fino a
che non sei indagato.
La verità è sacra; e se dici la verità
troppo spesso, nessuno ti crederà. "Truth
is sacred; and if you tell the truth too often nobody will believe it".
G. K. Chesterton-, british author
"Tra il dire e il fare c'è una busta da
dare".
Marcello Marchesi