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Web - Mai avrebbe pensato il filosofo rivoluzionario
francese Pierre-Joseph Prudhon (1809-1865) che le
sue, invero un po ' radicali, idee riuscissero a trovare
quale paladino instancabile, quasi un secolo e mezzo
dopo la sua morte, il variegato fronte dell'antipirateria
composto, senza stare troppo a sottilizzare tra le
etichette audio-video-software, da grossi nomi come
la BSA, l'IIPA, la MPAA, la RIAA e, in Italia, Fapav,
FPM, SIAE e Ordine dei Giornalisti, nonché
assurgere a nume tutelare di poche, ricchissime, e molto agguerrite, multinazionali
dell'intrattenimento, dello sfruttamento dei diritti economici delle opere
d'ingegno o dei
monopoli del software, come le grandi etichette musicali, i giganteschi
editori
multimediali e gli immensi produttori di software proprietario, con Microsoft
in prima
fila. Scherzi del destino.
Autore e principale finanziatore di un sistema di prestito personale senza
interessi
ritenuto uno strumento essenziale per realizzare la giustizia sociale,
l'agitato
contestatore non si pose grossi problemi a salire sulle barricate insurrezionali
parigine
del 1848, né di criticare "da sinistra" il morbido comunismo marxista
tanto da
suscitare persino le ire furibonde di Karl Marx che gli indirizzò
un'infuocata critica al
suo "Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria"
del 1846.
Come non passeranno alla storia le polemiche raffinatamente puttanistiche
(vedi
http://punto-informatico.it/p.asp?i=36162&p=1)
di alcuni odierni personaggi sul
teatrino dell'opera buffa per la spartizione del bottino di regime sulle
ultime leggi
sull'editoria e sul software, neppure il buon Prudhon sarebbe salito agli
onori della
gloria per la semplice ragione di aver fatto saltare i nervi a Karl Marx,
se nei suoi primi
anni spesi nella capitale francese non si fosse concentrato, per quanto
lo si potesse in
mezzo a quell'intenso clima rivoluzionario, nei suoi studi di autodidatta
scrivendo
alcuni brogliacci di memorie e un libro con oggetto: "Che cos'è
la proprietà". Un'opera
vigorosamente antagonista pervasa da una semplice quanto efficace idea
portante:
"La proprietà privata è un furto".
Prudhon, con una semplificazione estrema ma molto feconda, prospetta una
netta
separazione tra l'idea originaria della proprietà quale possesso
naturale dei mezzi di
produzione (ma oggi trasponendo nella società dell'informazione
potremmo forse dire
delle capacità creative) e l'infrastruttura socioeconomica che tende
a concentrare tali
mezzi nelle mani di pochi che li sfrutteranno al massimo.
Incredibilmente attuale, vero? Punto di arrivo della teoria che persino
Karl Marx volle
edulcorare e contrastare è che, sottratta la proprietà individuale
alla persona, sarebbe
stato necessario sulla base di un super-diritto di proprietà annetterla
a corporazioni
estese anche al di là dei confini nazionali che, liberando l'individuo
dal "peccato del
furto originario" lo rendesse veramente libero. Una condizione di massima
armonia
sociale (!) che Prudhon identifica con una variante tutta sua di anarchia
(a dire il vero
non molto credibile).
Una delle linee portanti dell'attuale antipirateria è il sostegno
incondizionato ad alcune "estensioni" di un concetto particolare di
diritto di proprietà che, parlando in termini giuridici, risulta
essere
lontanissimo dai diritti cosiddetti "reali" (ovvero i primari diritti
dell'essere umano): il diritto d'autore (che poi nell'accezione intesa
dagli antipirati ha veramente poco a che fare anche con gli autori delle
opere d'ingegno ma è relativo piuttosto a chi intermedia e sfrutta
questo lavoro).
Secondo queste moderne teorie estremistiche del
copyright, che attraverso un lungo e documentabile
lavoro di pressione sulle istituzioni legislative,
amministrative e giudiziarie, si stanno trasformando
nelle peggiori fonti di distorsione normativa dei nostri
codici penali (questo campo sembra essere l'unico
per cui un illecito civile viene punito, e pesantemente,
in sede penale), la proprietà privata di un bene
legalmente acquisito non è ragione sufficiente per
permettere all'acquirente di poterne disporre
liberamente, neppure tra le proprie mura domestiche.
Su molti dei pur costosissimi CD musicali, ad esempio, è oggi possibile
leggere la
seguente dizione
"RISERVATI TUTTI I DIRITTI DEL PROPRIETARIO DELL'OPERA
REGISTRATA". E ' l'etichetta di una strana concezione che unita alle ultime
norme
emanate tende a far prevalere il diritto del *proprietario dell'opera registrata*,
la casa
discografica (mai l'autore), e cioé chi vende il prodotto, al diritto
reale del *proprietario
del disco fisico*, e cioé chi compra il prodotto, il quale non potrà
far altro che accettare
supinamente le volontà del primo, come e quando gli verranno in
mente!
Se da domani dovessero decidere che tra i diritti del proprietario dell'opera
registrata
rientri quello di imporre l'ascolto solo di mattina prima di colazione,
un clandestino
ascolto pomeridiano sarebbe una violazione di tale licenza d'uso. Già
oggi
l'acquirente di un CD musicale non può, secondo molti teorici dell'antipirateria,
realizzarsene una copia per lo stereo dell'auto, o prestarlo ad un amico
e, durante una
festa in casa, non potrà senza dubbio lasciarlo come sottofondo
delle chiacchiere
della propria comitiva senza pagarne gli stessi diritti di esecuzione in
pubblico a cui è
tenuta una discoteca.
Cosa ci riserva il futuro? Il campo delle licenze sul software proprietario
in questo caso
è il modello. Licenze che prevedono che i software si possano installare
su alcune
macchine sì e su altre no, o che si possano installare ma non usare
contemporaneamente, o che si debbano installare o deinstallare ad intervalli
prestabiliti, comunicando alla software house chi come dove quando e perchè
si vuole
usare quel programma, esistono persino licenze di software classisti che
non possono
essere usati da alcune categorie professionali particolari, di solito medici
o fabbricanti
di armi, e poi programmi protetti da altri programmi, da chiavi hardware,
sofware che
telefonano automaticamente per sapere quel tale giorno ci sono le condizioni
climatiche favorevoli per fornire i propri servizi.
Insomma un piccolo panorama di orrori in cui i diritti dei consumatori,
nella migliore
delle ipotesi, sono stracciati con una noncuranza che va di pari passo
solo al
colpevole lassismo delle istituzioni che dovrebbero tutelare i consumatori.
Una
tendenza non più solo limitata al software. Già sono comparsi,
infatti, libri elettronici di
fiabe sui quali, oltre al prestito e alla donazione, le licenze di distribuzione
impongono
l'impossibilità di leggerli a voce alta. Secondo alcuni, questi
fantasiosi impedimenti
all'uso di qualcosa che avete comprato e pagato in denaro sonante dovrebbero
essere limitati solo dalla contorsione mentale di quanti - senza avere
mai dimostrato
un grammo di creatività propria, o avendola tutta spesa in queste
ignobili creazioni -
vivono sfruttando tutto il possibile ritorno economico della creatività
altrui.
Mi rendo conto, come molti scettici lettori, che è semplicemente
ridicolo pensare che queste violazioni siano minimamente perseguibili,
pertanto più che ridicolo sembra inutile appellarsi a maggiori severità
nel contrastare questi reati così pericolosi per l'ordine pubblico
da
necessitare le più severe forme di pena (qualcuno ha fatto notare
come le pene per la riproduzione casalinga di software siano
comparabilmente maggiori di circa due ordini di grandezza rispetto ai reati
di
corruzione politica, a parità di danno economico), eppure anche
quest'urlo sguaiato si
è innalzato più d'una volta dalle bocche rabbiose degli antipirati,
sempre pronti a non
fare distinzioni tra il "consumo individuale di prodotti pirata" e lo "spaccio
in grande
stile". Le accuse di "furto", in questo campo, si sprecano. Fortunatamente
una
distinzione, tra comportamenti individuali senza scopo di lucro e organizzati
a scopo
di sfruttamento e commercio illegale, che almeno una parte della magistratura
italiana,
e l'ultima legge sull'argomento della Comunità Europea, continuano
ad aver chiaro
(ma per quanto ancora?).
Il diritto d'autore è, mi scusino i giuristi per la mia
estrema semplificazione della materia - ma solo
quanto dovranno avermi già scusato gli studiosi di
filosofia per l'altrettanto radicale semplificazione della
filosofia prudhoniana - il diritto d'autore, dicevo, è un
diritto secondario e un po ' posticcio attaccato lì per
(non si è bene ancora sicuri di quale) utilità sociale nel
tardo ottocento, ma concretizzatosi universalmente
solo durante il periodo odioso dei peggiori
nazionalismi oscurantisti che la prima parte dello
scorso secolo ci ha riservato.
Fa un po' senso, e racconta molte cose, ad esempio, vedere che questa legge
della
Repubblica Italiana di cui gli antipirati tanto menano vanto rimane ben
piantata su
quella del 1941 che inizia con queste solenni parole: "Vittorio Emanuele
III Per grazia
di Dio e per volontà della nazione Re d'Italia e di Albania Imperatore
d'Etiopia Il senato
e la camera dei fasci e delle corporazioni a mezzo delle loro commissioni
legislative,
hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue..."
L'estensione estremistica, propugnata da questo aggregato di antipirati,
di questo
diritto posticcio e contorto che tende a limitare la proprietà privata
individuale a favore
di una sempre più vaga idea di proprietà intellettuale che
assegna peraltro solo in
misura minima e trascurabile vantaggi agli autori ma soprattutto tende
a lasciar
prosperare alcune organizzazioni non meglio identificate, sarebbe stato
il sogno di
Pierre-Joseph, senza dubbio. Salterebbe dalla gioia scoprendo che qualcuno
sia
stato in grado di inventare ed imporre un super-diritto positivo capace
di mangiarsi a
colazione quello reale di proprietà, che nei diritti umani sembrava
essere tra i più
inalienabili, e che organizzazioni transnazionali riuscano a gestire totalmente,
fuori da
ogni controllo legale complessivo, la vita degli individui (perché
nella società
dell'informazione chi controlla il flusso informativo controlla la vita
individuale). Questo
copyright è il sogno felice del teppista-filosofo Prudhon.
Però è il nostro incubo. Già dobbiamo fare i conti
con delle cariatidi
ingrassate che continuano ad essere la pesante eredità irrisolta
che le
istituzioni e leggi italiane hanno tutt'oggi con il ventennio fascista,
come
l'Ordine dei Giornalisti e la SIAE, nate sotto il fascismo e mai più
riformate nella sostanza, ma di tornare alle fantasiose ed estremistiche
elucubrazioni di un rivouzionario fallito del 1848 per mano della
congrega degli accoliti di alcuni dei più ricchi del mondo: no,
scusateci, ma questo è
proprio insopportabile!
Se proprio vogliamo tornare alle rivoluzioni
facciamolo come si deve, allora. Come avvenne nel
1791 durante la Rivoluzione Francese, a cui la Storia
riservò forse miglior sorte dei vaneggiamenti
prudhoniani, facciamo in modo di garantire il diritto di
sfruttamento economico per soli cinque anni tutelando
fortemente il diritto di paternità dell'opera d'ingegno
contro il plagio. Tanto basta nella società
dell'informazione, dove cinque anni sono poco meno
di un'eternità, senza che questa tutela pensata per
garantire l'avanzamento culturale degli individui si
trasformi in quella odiosa forma sociale di servitù pratica e soggezione
politica che le
recenti iniziative del fronte dell'antipirateria ha appena cominciato a
farci intravvedere.
Emmanuele Somma
30 Maggio 2001 - "L'antipirateria dice: la proprietà privata è
un furto!"
(c) 2001, Emmanuele Somma - Tutti i diritti riservati / All Rights Reserved
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alcuna forma e modo, da
nessuna persona che abbia alcun tipo di rapporto economico o funzionale
di
dipendenza con le sunnominate organizzazioni per lo sfuttamento commerciale
dell'opera creativa, ed in particolare BSA, RIAA, MPAA, IIPA, FAPAV, FPM,
SIAE e
Ordine dei Giornalisti. L'autore si riserva di agire in giudizio per tutelare
i propri
interessi contro i "pirati" che non rispetteranno la licenza allegata a
questo articolo. Il
Foro competente è quello di Roma. Questa è l'esplicita volontà
dell'autore.