Franz Kafka
Il processo
L'autore narra in modo semplice, il romanzo si legge con una discreta
facilità, il linguaggio non è affatto complicato, anche
se a volte utilizza alcuni termini propri del linguaggio giuridico. La
descrizione di luoghi come il tribunale, e il martellante riferimento
ad un reato non conosciuto rendono la lettura angosciante e talvolta
asfissiante. Il romanzo rispecchia in ogni caso il periodo temporale in
cui è ambientato: l'uomo sta progressivamente perdendo i suoi
valori, non è in grado di reagire, può solo soccombere.
Leggendo si ha sempre l'impressione che la vera comprensione del testo
preceda l'interpretazione che il lettore ne dà. Ed è solo
la metafora dell'antagonismo padre/figlio e del declino che il padre,
la generazione che deve uscire di scena, subisce inevitabilmente,
secondo uno schema edipico molto arcaico, si ribella e lotta,
presentando ricorso ad ogni arma per mantenere il potere nei confronti
della generazione emergente.
Di grande importanza è la presenza dei residui di colazione non
consumata, descritti in termini che saranno ripresi molto da vicino
quando si tratterà di suggerire la progressiva rinuncia e i due
guardiani del Processo provvederanno invece ad appropriarsi e a
consumare anche la colazione dell'accusato Josef K. "L'appetito
è percepito cioè come espressione della volontà di
potenza degli idonei alla vita, e l'anoressia quindi è l'ideale
ascetico di chi rifiuta questa logica di sopraffazione, di chi,
rinunciando alla vita, vuole uscire dalla fila degli assassini"; tema
questo che verrà approfondito nel Digiunatore, uno degli ultimi
racconti kafkiani.
Data la sua ancora momentanea debolezza, il padre presenta ricorso a
una capitale benevolenza, accentuata dal successivo elogio retorico e
questo ti fa onore. Ma subito in opposizione a questo, il ricorso
all'argomentazione esterna cose che non c'entrano intende come prima
cosa insinuare la minaccia di un'imprevista resa dei conti.
La colpa di chi resta in vita, però, rispetto a chi muore non
viene dimenticata dall'inconscio, che rimane vulnerabile di fronte
all'emersione dei rapporti gerarchici antropologici, tanto più
radicati di quelli borghesi socialmente riconosciuti. Se il padre
retrocede sul piano del potere borghese, acquisisce una forza immensa
sul piano del legame mitico padre/figlio. La morte della madre lo ha
tanto indebolito sul primo livello quanto lo ha rafforzato sul secondo:
e difatti, nel finale, ribalterà questo primo giudizio,
affermando che la sua forza deriva da due fonti principali: "Da solo
sarei stato costretto forse a cedere, ma la mamma mi ha ceduto la sua
forza, col tuo amico ho stretto una magnifica alleanza" Qui invece,
attenendosi alla descrizione dei rapporti socialmente condivisi,
riconosce l'indebolimento che la morte della madre gli ha procurato, in
quanto incapace di elaborare il lutto con la rapidità del figlio.
"Vi è dunque coincidenza simbolica fra queste due forze, che
sono provenienti da sponde opposte - padre e figlio - ma coagenti nei
loro obiettivi: la proibizione edipica del matrimonio e il desiderio
rimosso di un ideale ascetico incompatibile con il matrimonio e il
prodotto della condensazione di queste due direttive è la figura
dell'amico, che riemerge dall'inconscio come un dotato di forza
moltiplicata". In questo senso dunque l'amico è il collegamento
fra padre e figlio: è l'aspetto della personalità del
figlio che è maggiormente consonante con la funzione
sessualmente repressiva del padre, con il suo atteggiamento più
duramente edipico.
Mentre America si interrompe all'improvviso e non offre alcuna coerente
soluzione narrativa, Il processo, anch'esso incompiuto, rivela una
struttura più organica e un capitolo considerabile senza dubbio
come quello conclusivo. Non appena a Josef K. quasi senza alcuna
spiegazione, viene notificato che a suo carico sta per iniziarsi un
procedimento penale, prende il via la sua contesa con l'effimera
sostanza di quel tribunale invisibile che dovrebbe giudicarlo. Pur
proclamandosi innocente, egli ammette infatti di non conoscere gli
estremi della legge che lo chiama in causa e questo è
palesemente contraddittorio. In realtà, sin dalle prime battute
la trama si precisa nella contrapposizione di due ambiti diversi e
assolutamente antitetici: quello serio e rispettabile di Josef K.,
funzionario di banca e onesto cittadino, e quello misterioso e ambiguo
del tribunale, domanda giudicante che ha sede in soffitte buie e
inospitali di quartieri popolari, che sembra presieduta da
autorità incompetenti, e che sempre appare inflessibile e
disumana. Con l'ausilio della terza persona, in modo asciutto, quasi
registrazione di una semplice cronaca, Kafka descrive i molteplici
contatti del protagonista con l'organizzazione del tribunale. Tutto
sembra far credere che Josef K. sia vittima di un oscuro disegno, di un
atroce inganno; eppure l'innocenza più volte ribadita non
nasconde nient'altro che la sua colpa profonda, la colpa di chi ignora
la natura carismatica della legge. È vero, Josef K. non ha fatto
nulla, non ha fatto nulla per entrare nella legge, per comprenderne
l'effettivo carattere, per adeguarsi ai suoi inderogabili dettami, e si
ostina a continuare su questa strada. Il rifiuto di qualsiasi rapporto
con l'universo giuridico e con quei personaggi che in qualche modo
potrebbero aiutarlo, il pittore Titorelli, l'avvocato Huld, aumenta,
anziché diminuirla, la distanza che separa il protagonista
dall'ambito della legge. Ogni volta che riesce ad avvicinare il mondo
del tribunale, Josef K. lo trova ambiguo e degno di repulsione, e
questo perché continua a voler applicare il proprio ostinato
razionalismo. Il motivo centrale del romanzo risiede sicuramente
nell'episodio in cui il sacerdote del duomo narra al protagonista la
parabola del campagnolo e del guardiano della legge. Estrema
possibilità concessagli di incontrare la legge e con essa una
dimensione trascendentale, la parabola viene creduta dal protagonista
un inganno e ciò finisce per condannarlo in modo inappellabile.
Se la verità suprema non sembra mai poter essere compresa, si
scopre poi che, in pratica, è l'uomo stesso a rifiutare ogni
dialogo e a lasciarsi ingannare. Di fronte alla domanda metafisica e
alla purezza della legge, occorre lasciare da parte ogni
interpretazione razionalistica e accettare il mistero in quanto tale,
come parte integrante del rapporto con la verità. Proprio per
questo motivo, Josef K., possibile simbolo della crisi di un'anima
ebraica lontana dalle chimere della secolarizzazione ma anche dai dogmi
dell'ortodossia, nella sua sterile esistenza solitaria può
essere considerato nel torto.
Josef K. e il tribunale con le sue leggi sembra passino "per un punto
del piano esterno ad una retta, ed una soltanto che non incontra la
retta data". In sintesi, analizzando "Il Processo" è come
rappresentare il profilo diretto di Escher, tanto il parallelismo dei
personaggi è colpito dal rapporto esistente tra le dimensioni.
Per rilevare questo antagonismo, Escher crea dei "conflitti",
sottomette le leggi della prospettiva a ricerche critiche e trova nuove
leggi che sperimenta direttamente sulle sue stampe. La suggestione
spaziale di un'immagine piana può essere così forte che
si possono suggerire su di essa dei mondi che, in tre dimensioni, non
potrebbero assolutamente esistere. L'immagine che ne risulta sembra la
proiezione di un oggetto tridimensionale su una superficie piana, ma
guardando bene ci si accorge che non è vero: quella figura non
potrebbe mai avere un'esistenza spaziale: questo viene fuori dopo aver
letto e sopportato l'angoscia struggente che Kafka crea nel suo
scritto.
Dicevo. "Il Processo", per chi conosce le teorie di Escher, si realizza
nella prima litografia dedicata alle costruzioni impossibili. La stessa
scala che porta al secondo piano dell'edificio inoltre è
contemporaneamente all'interno e all'esterno di esso, cioè si
tratta di una scala impossibile. Escher capì che "la geometria
dello spazio determina una sua logica e allo stesso modo la logica
dello spazio spesso determina una sua geometria". Ed è proprio
ciò che il critico fa, dopo aver letto "Kafka", soprattutto "Il
Processo", uno dei modelli di logica dello spazio che poi applica sul
gioco di luci e ombre applicato alle parole e alle situazioni, come
è per gli oggetti concavi o convessi.
Tra i tanti elementi che hanno contribuito al successo dell'opera
kafkiana va annoverato il linguaggio. È quindi importante
soffermarsi su questo problema, ben messo in luce da studiosi quali L.
Mittner e R. Fertonani. Scopriamo innanzitutto una non piccola
difficoltà di approccio al problema linguistico per connotazioni
anche geografiche: Kafka proviene dalla tradizione ebraica ed è
legato, seppure in modo problematico, ad essa; pur parlando
correttamente il ceco, sua lingua madre, si forma, secondo i modelli
della borghesia ebraica di Praga, "nell'ambito della cultura tedesca,
cioè della cultura della classe dominante. Il risultato che
consegue a questa necessaria fusione di elementi diversi e persino
opposti è un tedesco in cui si sommano caratteristiche di grazia
e di eleganza, che però è facilmente traducibile in
qualsiasi altra lingua con, estrema efficacia".
È proprio nel riconoscimento dell'illusorietà del mondo
in cui l'uomo è calato che dobbiamo cercare la grandezza di
Kafka, l'universalità e nel contempo l'attualità del suo
messaggio. "Egli ha lasciato alla cultura e in particolare alla
letteratura del nostro secolo la scoperta di un mondo che è allo
stesso tempo concreto e assurdo, poiché è
incomprensibile, e impenetrabile". Kafka, per primo ha esplicitamente
detto che reale non è soltanto ciò che l'uomo può
conoscere e spiegare razionalmente, ma anche, e forse soprattutto,
ciò che è al di là del razionale, il sogno,
l'inafferrabile, il trascendente. Di fronte a questo tipo di
realtà l'io dell'uomo contemporaneo si scinde e si perde in una
crisi senza soluzione. Il mondo, nella sua duplice realtà
razionale e trascendente, rimane incomprensibile al soggetto,
perché egli non riesce neppure a comprendere se stesso, lo
scorrere della sua esistenza, cristallizzato com'è nei suoi
schemi razionali. "L'io e la vita sono grandezze e quindi il
significato dell'esistenza sfugge alla ricerca conoscitiva". È
dunque inutile pretendere di fornire risposte ultime e sicure, di
possedere illuminanti certezze sulla vita, che sappiamo essere
inesauribile flusso di contraddizioni.
"Qualcuno doveva aver diffamato Josef K., perché, senza che
avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato. La cuoca della
signora Grubach, la sua padrona di casa, che ogni giorno verso le otto
gli portava la colazione, quella volta non venne. Ciò non era
mai accaduto. K. aspettò ancora un po', guardò il suo
cuscino la vecchia signora che abitava di fronte e che lo osservava con
una curiosità del tutto insolita in lei, poi però,
meravigliato e affamato a un tempo, suonò. Subito qualcuno
bussò e entrò un uomo, che egli non aveva mai visto prima
in quella casa. Era snello eppure ben piantato, indossava un vestito
nero attillato che, come gli abiti da viaggio, era dotato di diverse
pieghe, tasche, fibbie, bottoni e di una chiusura e che di conseguenza,
benché non fosse chiaro a cosa dovesse servire, sembrava
particolarmente pratico. "Chi è lei?", chiese K. sollevandosi a
metà sul letto. L'uomo però sorvolò su quella
domanda come se si dovesse accettare la sua apparizione e a sua volta
disse soltanto: "Ha suonato?". "Anna mi deve portare la colazione",
disse K. cercando sulle prime in silenzio, mediante l'attenzione e la
riflessione, di stabilire chi mai fosse quell'uomo. Ma questi non si
espose per molto al suo sguardo, si volse invece in direzione della
porta che aveva lasciato socchiusa, per dire a qualcuno che
evidentemente stava appena dietro la porta: "Vuole che Anna gli porti
la colazione". Seguì un breve ridacchiare dalla camera accanto,
non era chiaro dal suono se non scaturisse da più persone.
Sebbene l'estraneo in questo modo non potesse aver appreso nulla che
già non conoscesse prima, tuttavia disse a K. col tono di una
comunicazione: "E' impossibile". "Questa sarebbe nuova", disse K.,
saltò fuori dal letto e si infilò rapidamente i
pantaloni. "Voglio proprio vedere che razza di gente sta nella camera
accanto e come la signora Grubrach giustificherà questa
intrusione". Capì subito che non avrebbe dovuto dire questo ad
alta voce e che, in tal modo in un certo senso riconosceva un diritto
di controllo all'estraneo, ma lì la cosa non gli sembrò
importante".
"Josef K., un giovane impiegato di banca viene improvvisamente
svegliato da alcuni agenti della polizia che irrompono nella sua stanza
e lo arrestano, senza fornirgli un valido motivo: K. dovrà
essere sottoposto ad un processo. L'assurdità dell'arresto di K.
diviene ancora più evidente quando viene condotto per la prima
volta davanti alla corte: l'udienza si svolge di domenica, in un
malandato edificio alla periferia della città. Già dopo
la prima udienza K. cerca di contattare il maggior numero di persone
che lo possono aiutare a venir fuori da questa situazione. Contatta un
avvocato, un industriale, persino il pittore che ritraeva i giudici,
alla fine però decide di soccombere, di non andare contro
all'assurda istituzione del tribunale. Una notte viene catturato,
condotto da due oscuri individui in un'area deserta e giustiziato".
Beati
gli affamati di giustizia perché saranno giustiziati.
Cecchelin Angelo |
Il luogo
della giustizia è un luogo sacro.
Francis Bacon |
La
vendetta è una sorta di giustizia selvaggia.
Francis Bacon |
È sicuro
che l'ignoranza alleata con il potere, si rivela il nemico più feroce
che la giustizia può avere.
James Mark Baldwin |
Il prezzo
della giustizia è una pubblicità eterna.
Enoch Arnold Bennett |
Non
esiste il caso, perché il caso è la Provvidenza degli imbecilli,
e la Giustizia vuole che gli imbecilli non abbiano Provvidenza.
Léon Bloy |
Volete la
giustizia, ma volete pagare per averla, hm? Quando vi recate dal
macellaio, lo sapete, dovete pagare, ma voi gente andate dal giudice
come se foste ad una cena funebre.
Bertolt Brecht |
Le leggi
e la giustizia non sono fatte che per alimentare l'ingiustizia.
Carl William Brown |
Lo
schiavo inizia col chiedere giustizia e finisce col volere portare una
corona. A sua volta, deve dominare.
Albert Camus
|
Quando
uno è stato minacciato di una grande ingiustizia, ne accetta una più
piccola come se fosse un favore.
Jane Welsh Carlyle |
Altre parole: